SALAM D’LA DUJA

Definizione
Il salam d'la duja (scritto anche, secondo la grafia classica del piemontese "salam d'la doja" è un salame di puro suino conservato sotto grasso. La parola "duja" in piemontese significa "vaso, contenitore, recipiente, orcio". Dunque il nome di questo salume, tradotto in italiano, sarebbe "salame del vaso", dal contenitore in terracotta invetriata che viene utilizzato per conservare il salame sotto grasso. Il metodo di conservazione del salam d'la duja, decisamente molto insolito, si è sviluppato nelle pianure molto umide del Piemonte orientale, laddovè la tecnica classica della stagionatura e conservazione dei salami mediante essicazione all'aria in ambiente fresco e ventilato ed a temperatura costante (nelle cantine) non è possibile per via dell'elevata umidità ambientale e delle condizioni climatiche non idonee, in quanto favorivano la crescita di muffe.
Il risultato di questa tecnica di stagionatura e conservazione sotto grasso è stata la creazione di un nuovo tipo di salame, il quale, così isolato dall'ambiente esterno, conserva quasa inalterata la morbidezza delle carni che esso aveva nel momento della sua realizzazione, mentre accentua i sapori delle spezie che vi erano state aggiunte, con una accentuazione del sapore piccante. Gli ingredienti per creare il salam d'la duja sono: carni magre e grasse di maiale (spalle, pancetta, lardo, coscia, culatello, coppa, triti di banco), sale, pepe, aglio, spezie e vino (generalmente rosso e Barbera). Il risultato dell'impasto è un po' più tenero rispetto ai normali salami. La lunghezza dei salami è di 15-20 cm, il diametro di 4-5 cm e la pezzatura è di circa 200 grammi. Al taglio i salami d'la duja presentano una grana media con distinzione tra parte magra di colore rosso mattone scuro e parte grassa di colore bianco.
Il salam d'la duja si consuma crudo, tagliato a fette piuttosto spesse. Il salam d'la duja è uno degli ingredienti della panissa e della paniscia, risotti tipici, rispettivamente, vercellese e novarese.
Metodiche di lavorazione: Le carni suine di prima scelta e il grasso di pancetta vengono macinati a grana media, conditi con spezie e insaccati nel budello naturale torto di manzo. I salami vengono quindi lasciati ad asciugare per circa 2-3 settimane in celle di stagionatura. Un tempo invece i salami venivano asciugati per circa 30 giorni in cantine con braceri. I salami così asciugati sono quindi inseriti in un recipiente di terracotta (la duja), all'interno del quale vengono coperti con strutto fuso di maiale, il quale, solidificandosi, conserva i salami e li mantiene morbidi per lunghi periodi, anche più di un anno, indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. I salami devono rimanere nella duja, sotto strutto, per un minimo di otto-nove mesi. Trascorsa la stagionatura minima, i salami possono essere estratti dalla duja quando si vuole.
Zona di produzione: Novarese, Vercellese, Biellese, ma diffuso anche in altre zone del Piemonte e nella Lomellina.
(FONTE www.areeprotettepotorinese.it)

GORGONZOLA

Il Gorgonzola è un formaggio assai antico, alcuni affermano che il Gorgonzola sarebbe stato fatto per la prima volta, nella località omonima alle porte di Milano, nell’anno di grazia 879.
Secondo altri la nascita ebbe luogo a Pasturo nella Valsassina, grande centro caseario da secoli, grazie alla presenza di quelle ottime grotte naturali la cui temperatura media è costante tra i 6°C ed i 12°C e consente, pertanto, la perfetta riuscita del Gorgonzola, così come di vari altri formaggi.
La cittadina Gorgonzola, in ogni caso, rimane il centro di maggior fama, se non di maggior produzione o commercio per vari secoli; infatti il primo vero nome del Gorgonzola fu quello di “stracchino di Gorgonzola”, meglio definito poi dal suo sinonimo di “stracchino verde”. In tal contesto, è fuor di dubbio che la sua produzione avvenisse con le mungiture autunnali della transumanza di ritorno dalle malghe od alpeggi.
La diffusione del Gorgonzola, per quanto lenta se rapportata ai successi di altri formaggi, fu tuttavia costante almeno per quanto riguarda l’area tra Lombardia e Piemonte: tanto il Pavese quanto il Novarese si aggiungono in modo massiccio a Milano ed al Comasco nella produzione del Gorgonzola.
Si prefigura così quello che i decreti del 1955 e del 1977 delimiteranno come zona di produzione e di stagionatura di questo formaggio ormai assurto alla denominazione di origine tutelata.
Dagli inizi del ‘900 in poi il Gorgonzola assapora i suoi crescenti successi soprattutto all’estero, stabilendo un record nelle esportazioni con oltre 100 mila quintali annui di formaggio destinati a Inghilterra, Francia e Germania; mentre il primo paese predilige il Gorgonzola bianco di sapore mite e leggermente piccante, francesi e tedeschi richiedono espressamente quello dalla pasta venata e dal gusto marcato, il cosiddetto Gorgonzola “a due paste”.
Nell’immediato dopoguerra viene messa a punto una nuova tecnica, cioè la lavorazione del Gorgonzola ad “una pasta”. Gradualmente sostituisce la precedente produzione, assai empirica, sensibilmente più costosa, igienicamente e qualitativamente incostante. I caseifici e le molte latterie disseminate in tutta la pianura padana, raccolgono il latte presso tutte le cascine e producono il formaggio che viene quindi trasportato presso i grandi centri di stagionatura. Negli anni settanta gli oltre 100 caseifici devono necessariamente modernizzare gli impianti produttivi e diversi piccoli produttori, non riuscendo a sostenere le spese, devono lasciare. Rimangono quindi ad oggi circa una trentina di aziende ben strutturate che oltre a lavorare il latte, il Gorgonzola lo stagionano nei lori moderni impianti; si distinguono in grandi e medi complessi.
La produzione degli ultimi anni conferma lo spostamento dell’asse produttivo. Tra le tre maggiori provincie produttrici, Novara raccoglie oltre il 65 %, Pavia il 15 % e Milano l’ 8%. Il resto si divide tra le altre provincie dell’area tipica di produzione e di stagionatura indicata dalle leggi di tutela di denominazione.
(FONTE www.gorgonzola.com)

FIDIGHINA E FIDIGHIN

Il “Salame della Duja” ("salam d'la duja" in piemontese) è un insaccato tipico di Novara che prende il suo nome dal contenitore, la duja appunto, nel quale viene lasciato a maturare.
Carni suine di prima scelta (spalla, coscia, coppa e culatello) vengono macinate a grana media, insieme a grasso di pancetta, e conditi con sale, pepe, aglio e vino rosso. Il salame, insaccato in budello di manzo, viene fatto maturare nella duja, coperto da strutto fuso che gli consente di restare morbido a lungo. Questa metodologia di conservazione veniva utilizzata in passato soprattutto nelle zone molto umide del Piemonte, dove non si poteva far stagionare i salami all'aria con il metodo tradizionale.
Alla maturazione segue la stagionatura della durata di otto mesi/un anno.
Il “Fidighin” (mortadella di fegato cruda) è un altro insaccato tipico della zona del novarese, prodotto con carni suine magre, grasso del sottogola e della pancetta, fegato e spezie. La quantità di fegato determina il colore del salume, più o meno rosso ed anche il sapore, più o meno piccante.
I costituenti sono macinati a grana media e conciati impiegando sale, pepe, sia intero che macinato, vino rosso (Barbera), vin brulè o Marsala, zucchero, scorza di limone, cannella, noce moscata, chiodi di garofano. Dopo un prosciugamento di alcuni giorni, il prodotto viene fatto stagionare per 4-5 mesi. Il Fidighin va consumato esclusivamente crudo.
(FONTE PAGINA FACEBOOK “NOVARA 900”)

PANISCIA NOVARESE

La paniscia alla novarese è una ricetta che affonda le sue radici nel passato, quando i nostri nonni utilizzavano gli ingredienti poveri a disposizione per rifocillarsi con un pasto caldo e nutriente. Si tratta di un risotto davvero speciale arricchito con prodotti tipici del territorio, come per esempio il salam d’la duja, un insaccato tipico di questa zona del Piemonte che viene ricoperto di strutto e conservato in vasi di vetro. Un’altra caratteristica della paniscia è il brodo con cui si porta a cottura il riso che viene realizzato con cotiche, fagioli e gli scarti della verza... perché a tavola, si sa, non si butta via niente! E infine il lardo, immancabile nella cucina contadina. Una pietanza robusta e sostanziosa, insomma, fatta per riempire la pancia e sollevare lo spirito! Lasciatevi coccolare dai sapori di una volta e accompagnate la paniscia alla novarese con un buon bicchiere di vino rosso.
(FONTE GIALLOZAFFERANO)

RUSTIDA

La Rustida è una ricetta tipica della tradizione gastronomica novarese, in particolare della zona di Oleggio.
E' un secondo piatto a base di carne; un tempo veniva cucinato quando si uccideva il maiale e, proprio per evitare qualsiasi spreco, si usavano anche le frattaglie.

(FONTE WWW.NOVARATODAY.IT)

TAPULONE (DI BORGOMANERO)

Il tapulone è un antichissimo piatto della tradizione dell’alto piemontese. Viene servito finemente sminuzzato e con abbondante vino rosso locale.
Il nome è insieme curioso e vagamente evocativo, suona come un animale mitologico, o quasi. Ma il tapulone (o tapulòn) è un nome che non ha nulla di ferale. Anzi, deriva da una variante locale del verbo piemontese ciapulè che significa “tritare, affettare finemente, tagliuzzare”.
È un antichissimo piatto della tradizione dell’alto piemontese, una ricetta di carne (la versione ortodossa vuole una carne particolare: quella d’asino) in versione spezzatino: battuta finemente sminuzzata e servita con alloro, rosmarino, chiodi di garofano, sale e il vino rosso delle colline locali.
Tapulone, la storia del piatto
La cucina popolare è un coacervo sempre interessante di storie e narrazioni. Il tapulone non fa differenza. La leggenda vuole che tredici pellegrini affamati, di ritorno da una visita al santuario di San Giulio d’Orta, si fermarono, esausti, in cerca di provviste alimentari dopo avere terminate le loro.
Non trovando nulla di commestibile si videro costretti a cucinare un asinello del loro seguito e, per attenuare la durezza delle carni, presero a sminuzzarle finemente e a cuocerle a lungo nel vino.
Il pasto piacque così tanto che i pellegrini decisero di fermarsi e mettere radici proprio dove lo consumarono per la prima volta. E così fondarono un villaggio, l’attuale Borgomanero.
Se del maiale non si butta via niente, come vuole l’adagio, si potrebbe dire che dell’asino non si butta via neppure un servizio. L’animale veniva utilizzato come mezzo di trasporto e, quando troppo anziano per sopportare carichi pesanti, come fonte di cibo diretta.
Come tutte le ricette popolari, anche il tapulone insegna a lavorare con la residualità e con risorse semplici ma efficaci.
(FONTE VILLACRESPI.IT)

PANE DI SAN GAUDENZIO

Il pane di San Gaudenzio è un plumcake che assomiglia a un panettone, dedicato al santo patrono della città di Novara, che ricorre il 22 gennaio. Questo dolce – costituito da un guscio di frolla ripieno di pan di spagna all’uvetta – è prodotto e venduto nelle principali pasticcerie della città da più di 40 anni e ne è diventato uno dei simboli gastronomici, insieme ai famosissimi biscottini di Novara prodotti dal biscottificio Camporelli.
San Gaudenzio è stato il primo vescovo di Novara e a lui è dedicata l’omonima basilica, famosa in tutto il Piemonte per la sua cupola, opera dell’Antonelli, l’architetto che ha anche creato la Mole, simbolo di Torino.
La leggenda narra che il pane di San Gaudenzio sia stato inventato negli anni Settanta da un gruppo di panettieri di Novara, ma, secondo alcuni, questo dolce ha un’altra origine: la prima domenica di Pasqua i religiosi della basilica erano soliti distribuire ai poveri un altro pane tipico, il “pane di polla“, a base di frumento. Quando Napoleone, nell’Ottocento, chiuse i conventi, le suore che prima vivevano in essi trovarono ospitalità presso le famiglie benestanti e così fecero conoscere la ricetta dei biscottini di Novara. In breve tempo, il pane e i biscottini fecero sempre coppia fissa e chissà che quel pane della Pasqua non sia stato l’antenato del dolce tipico della città.
(FONTE DISSAPORE.COM)

BISCOTTINI DI NOVARA

Questo prodotto ha una storia che risale a qualche secolo fa ma, nonostante approfondite ricerche, comunque, non si è riusciti a stabilire con certezza dove e come abbia avuto origine il famoso biscotto novarese. Dai monasteri femminili del XVI secolo, arrivano, comunque, le prime notizie dei biscottini. In quei luoghi, infatti, esistevano laboratori di pasticceria dove si preparavano ghiottonerie per i forestieri danarosi in transito. Proprio in questi monasteri, piuttosto numerosi prima del passaggio di Napoleone Bonaparte, alcune monache avrebbero, inventato la ricetta di “quel biscotto che avrebbe dato rinomanza al capoluogo novarese”.
In quei tempi, era costume (e durò sino alla grande guerra ), che nella prima domenica di Pasqua venissero fatte, a cura del clero della Cattedrale, della Basilica Guadenziana e dei parroci della città, delle distribuzioni ai poveri di un pane di frumento denominato “Pane di Polla” (nome di donna o parola da ritenersi derivata dal latino “pollen”, ossia fior di farina.
Con l’affermazione della consuetudine, il dolce venne chiamato “biscottino delle monache di Novara” e tale rimase sino alla soppressione dei conventi, voluta appunto da Napoleone, nel 1800.
Le suore furono costrette a cambiare la loro vita e parecchie trovarono accoglienza presso le famiglie abbienti della città, dove trasferirono e diffusero le loro conoscenze culinarie. Da quel momento il segreto della confezione del biscotto cadde e il prodotto venne ben presto messo in commercio da un farmacista-droghiere, un certo Prina, che iniziò a venderlo nella sua bottega con il proprio nome: “Biscottino di Novara del Prina”.
In breve, si creò attorno al prodotto una libera e intensa concorrenza tra i pasticceri che perfezionarono il biscotto, soprattutto nella tecnica di cottura, tanto da migliorare la sua capacità di conservazione e da aprire, come logica conseguenza, la possibilità di spedizione lontano da Novara.
Quando si parla della storia dei biscotti di Novara non si può tralasciare, tuttavia, la storia del carnevale novarese e della Maschera di “Re Biscottino”; essa si snoda parallelamente e porta sul terreno dei valori simbolici che questo prodotto ha assunto.
Nel secolo scorso, l’espansione dell’industria chiamava maestranze dai paesi limitrofi, l’immigrazione accresceva la popolazione cittadina e dava inizio ai relativi problemi d’inserimento ed assimilazione. Proprio in quel periodo, un “comitato” composto da commercianti, professionisti ed esponenti della nobiltà, prese l’iniziativa di dare vita ad un rinnovato carnevale. Lo scopo era, evidentemente, quello di dare sfogo al clima di euforia che si era creato per i mutamenti sociali e che faceva di Novara una città moderna.
Ma questo carnevale era stato ideato anche per celebrare il nuovo corso dell’economia novarese, per onorare e fare pubblicità ai suoi protagonisti: gli “offalieri” ossia i pasticceri. In questo senso si capisce la scelta della nuova maschera : Re Biscottino.
Il biscotto viene così incoronato “simbolo della città” e tale resta fino ai giorni nostri.
(FONTE SAPORIDELPIEMONTE.NET)

GRAMOLINI DI GALLIATE

Sono i dolci tipici di Galliate, preparati con zucchero, farina, burro, uvetta, lucidati con le uova e ricoperti di fine granella di zucchero.
I gustosi dolcetti erano preparati nel passato unicamente per la ricorrenza di San Giuseppe, il 19 marzo, ma oggi sono confezionati da laboratori pasticceri artigiani nel corso di tutto l'anno.
(FONTE TURISMONOVARA.IT)

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